Fine del viaggio in Asia. Si continua dal Caribe

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Domani prendo un volo con destinazione finale Cuba e scalo -di 20 ore- a Città del Messico.
In appena due mesi circa sono arrivato in Giappone. L’uso del mezzo collettivo, che si tratti di treno, nave e in un caso bus, ha dato a #escoafareungiro due diverse velocità però armoniche nel tipo di viaggio che avevo pensato, e che sta realizzandosi davvero.

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Non ho provato straniamenti: i cambi di territorio si sono svolti dolcemente, senza strappi. I chilometri in bici, ormai quasi 3.000, sembrano interminabili solo in salita; neanche il vento contrario o la pioggia hanno dilatato il tempo. Si sale in sella la mattina, si scende la sera: ed è tutto qui, ed è tutto bello. Anche il caldo tropicale di Cina e Giappone o i 10° della costa baltica.

Lascio l’Asia con qualche perplessità in più, qualche revisione della presunzione di Asia che faceva parte della mia passata ignoranza, che resta ma dimagrita fortemente.

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Il Giappone per esempio. Nella mia testa era ben installato come paradigma di modernità, nel bene e nel male che ciò comporta. Ho trovato altro: in sintesi estrema, una sorta di separazione dal resto del mondo che qualcuno, ho sentito dire, definisce rapidamente razzismo.

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Trovo un fondo di ragione ma il nostro termine non è adeguato: se da noi definisce una società xenofoba alla Lega Nord o Front National, qui sembra essere tutt’altro, qualcosa di più simile al sistema castale molto semplificato. Sembrano, giapponesi e resto delle etnie, due categorie coesistenti ma parallele.
Ho trovato molte tracce, non prove, di questa presumibile separazione: servizi differenti (accesso al web, per esempio), difficoltà a comprendere l’obbiettiva ignoranza altrui, comunicazione formale e poco empatica, rigidità. Magari ne scriverò meglio in seguito.

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E al contempo una delicatezza di comportamenti un po’ ostica da percepire per il grossolano occidentale, gesti mimetizzati, fatti quasi alle spalle forse per pudore.
Che fosse un altro modo di stare al mondo l’ho capito improvvisamente quando ho incontrato un ragazzo del Marocco e ho percepito la concreta vicinanza delle genti mediterranee.

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Più rilassante, paradossalmente, il passaggio in Cina anche se solo a Pechino e Shanghai. Rigidità anche lì ma meno formale; è evidente che esistono sentieri alternativi all’ufficiale (nei limiti concessi dall’onnisciente regime) ma percorribili solo dopo tempo, sicuramente più di quel che mi sono concesso. Confermo di essermi sentito più a mio agio a Pechino e meglio Shanghai, in bici, che in altri posti attraversati, con l’eccezione della Mongolia ma solo perché densamente spopolata.
Mongolia appunto: un miracolo che non sia fagocitata anche culturalmente dai giganti che la stringono. Una società gentile, quasi fanciullesca, contenta di stare al mondo. Sulla straordinaria ampiezza di panorama, sulla visibilità grandangolare fuori norma -e questo non appena passato il confine con la Russia- voglio informarmi meglio, perché credo che l’evidente fenomeno fisico sia stato spiegato.

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Ho trovato qui, nell’Asia della plica mongolica, la gastronomia più variegata e gustosa della mia vita. Un’assoluta sorpresa. Si tratti di zampe di gallina, intestini o zuppe a me ignote, ho sempre provato una soddisfazione altissima, soprattutto nel cibo di strada. Risulta così ancora più misteriosa l’esistenza dei McDonald’s, visti in gran copia, e utili in Russia per scroccare una connessione libera e senza formalità:

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A proposito di soluzioni stradali a vari problemi, in prima linea i bisogni del corpo in entrata e in uscita, dichiaro qui il mio totale amore per la catena Lawson in Giappone:

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Un surrogato di ostello/trattoria a cui manca solo il letto e la doccia. Onnipresente, visibilissimo, prezzi da discount e cessi pulitissimi, una certezza aperta 24h. Si potrebbe vivere solo di bivacco e Lawson in Giappone, visto che dormire nei parchi anche con la tenda è considerato attività prevista dal regolamento sociale.

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Bacidibici,

rotafixa

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